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“Sul sentiero blu”: ragazzi autistici in viaggio

La ricerca del giusto contatto e della giusta distanza sembrano essere la questione al centro dell’ultima opera di Gabriele Vacis. Obiettivo specifico che si dichiara fin dai primissimi fotogrammi: quando la macchina da presa, subito gettata in medias res, si insinua cautamente in mezzo al gruppo di ragazzi in procinto di partire per il cammino lungo la Via Francigena.
L’occhio cinematografico punta, dunque, immediatamente a instaurare un rapporto con i ragazzi autistici protagonisti della storia; a “stare con”, ad accompagnare e interagire per vie che non vengano avvertite come indiscrete e, come sempre il cinema richiede, che vadano a scavare sulla superficie delle cose al fine di restituire una realtà autentica, seppure figlia propria dell’artifizio filmico. Il contatto istituito dalla macchina da presa è, tuttavia, nella forma delle cose, uno soltanto degli elementi da considerare quando costituire il contenuto diegetico è la dimensione autistica stessa; quando ciò che lo spettatore si trova a osservare è “una condizione dello stare al mondo” che giustappunto nelle interazioni sociali può facilmente fare attrito. Pertanto, quello che la voice over iniziale annuncia come “impresa che ha dello straordinario” non è che l’operazione stessa dello stare insieme: allontanandosi, prima di tutto, dalle consolatorie routine del quotidiano; dal porto sicuro della famiglia; da ciò che, stereotipato, ritualizzato in infiniti modi, viene spesso prodotto come strumento di protezione o tentativo di (ri)costituire un ordine. E ricominciare dal con-tatto col gruppo, con la natura, con una realtà che turba e commuove.

Il cammino lungo l’antica Via Francigena, 200 km in totale, suddivisi in 20 km giornalieri fino a Roma,  per il gruppo di ragazzi assume da subito i tratti caratteristici del famigerato “viaggio dell’eroe” trapiantato dal mito al cinema: lo scoramento nei momenti di più grande difficoltà; le salite e le cadute durante il tragitto; i personaggi incontrati che potranno aiutare i protagonisti o esser loro di intralcio; la forza d’animo che spinge l’eroe a proseguire nonostante la fatica; la presa di coscienza di limiti e capacità individuali; la crescita interiore che l’avventura potrà apportare a ciascuno.

Il viaggio (quindi il film), ad ogni tappa, si arricchisce sempre più di nuove immagini; di storie vere o simulate; popolandosi di personaggi disneyani e biblici; indovinelli e giochi tirati in ballo per passare il tempo e sentire meno la fatica. Il percorso si arricchisce, dunque, di nuovi punti di vista sul mondo.

I ragazzi, con il sostegno dei loro educatori, imparano a esprimere per immagini e similitudini sentimenti di gioia, rabbia, sofferenza; portando così in superficie tutta la loro ricchezza interiore, luoghi comunemente sepolti sotto stereotipie e/o parole ossessionate. È esattamente in quei meandri di libera espressione che emergono prepotentemente sentimenti di potenza universale: il desiderio di   vedere   un’aquila   volare   libera, canticchiare   all’unisono con la natura, guardare l’altro e desiderare solo d’esser ricambiati. Non ci sono storie d’amore funzionali costruite intorno a questi personaggi; bensì, incontri che hanno il carattere impetuoso e inspiegabile dell’evento. Perché, per definizione, un incontro accade realmente solo all’infuori di ciò che è programmato e programmabile; oltre le dinamiche e i ruoli sociali precostituiti; fuori dalla regolazione del mondo alla quale il gruppo cerca tuttavia di adattarsi imparandone i codici.

Ciononostante, il film di Vacis lascia indietro l’aspetto educativo, quell’imparare a stare nel mondo neuro tipico per non esser ritenuti dei “diversi”, perché sa dove andare a cercare la magia.

Nel vento, tra i fili d’erba, nelle dinamiche di sguardo impreviste.

Così, l’incontro ultimo, “miracolosa” conclusione del pellegrinaggio, non sarà da considerarsi occasione per mettere in atto le tecniche del saluto apprese durante il percorso. Sarà, al contrario, possibilità di abbattere la barriera della distanza imposta, la foto di gruppo tutti insieme, vicinissimi alla figura del Papa, e imparare la lezione più grande alla quale l’eroe potesse in ultimo sopraggiungere. Conservare, comunque sia, la magia interiore. Umorismo e cuore.

Martina Puliatti